Il PtG (Power to Gas) è la nuova frontiera per la produzione di gas combustibili da accumulo, produzione che avviene a fronte di un consumo elettrico proveniente da fonti rinnovabili come il vento e il sole. Tra i combustibili che si possono produrre l’idrogeno è considerato il più promettente del settore, è prodotto scomponendo l’acqua in idrogeno e ossigeno grazie all’elettricità rinnovabile.
Essendo le fonti rinnovabili dipendenti dal meteo, sorge spontaneo chiedersi come posso mantenere bilanciata la rete elettrica; A ciò risponde l’idrogeno, che nella sua natura fossile (produzione che genera tonnellate di CO2) tramite celle a combustibile o turbine a gas, genera energia elettrica, per cui anche l’idrogeno “verde” può essere usato come il gemello di natura fossile per bilanciare la rete elettrica. Ma questo idrogeno rinnovabile potrà mai essere competitivo con quello prodotto da metano o carbone?
Secondo una ricerca condotta dagli economisti Gunther Glenk, dell’Università Tecnica di Monaco, e Stefan Reichelstein, della Stanford University, il PtG avrebbe già compiuto il primo passo verso la competività. Glenk sostiene che ad oggi ci sono tre tipi di fornitura di idrogeno fossile per vari usi, su piccola media e gande scala, con prezzi di vendita dai 4 ai 2,5 €/kg di idrogeno e calcolano che in Germania e in Texas si possa produrre idrogeno da eolico a prezzi simili. Considerando che il costo degli elettrolizzatori continuerà a scendere, ritengono che l’idrogeno da PtG diventerà competitivo intorno al 2027. Secondo i due ricercatori non c’è solo l’esigenza di produrre elettricità “verde”, ma anche quello di rendere verde l’industria, e l’idrogeno verde porta in quella direzione. Nel loro pensiero, il primo passo nell’introduzione del PtG sarà di costruire impianti per vendere idrogeno, poi se le condizioni economiche lo renderanno conveniente si potrà pensare di riconvertire l’idrogeno in elettricità.
In Belgio, i ricercatori della facoltà di bioingegneria dell’università KU Leuven hanno sviluppato un sistema fotovoltaico in grado di produrre H2 dall’umidità dell’aria. Il sistema riesce a produrre fino a 250 litri di idrogeno al giorno con un pannello di superficie pari a 1,6 m2.
I sistemi fotovoltaici tradizionali hanno rese intorno al 20%, utilizzarli per separare idrogeno e ossigeno dall’umidità significa disperdere una gran parte di energia raccolta. L’innovazione del team belga consiste nell’aver creato celle fotovoltaiche in grado di “convertire direttamente” il 15% della luce solare in idrogeno. L’idrogeno prodotto durante le stagioni calde verrà stoccato in un contenitore pressurizzato sotterraneo, pronto per essere utilizzato in inverno per produrre elettricità e calore, ogni impianto domestico avrebbe bisogno di un serbatoio di stoccaggio di massimo 4 m3.
Non vi sono stime e costi per una produzione in serie del prototipo, il professor Johan Martens precisa che per il prototipo sono stati utilizzati materiali grezzi (non metalli preziosi o componenti costose) e che l’obiettivo è quello di progettare un sistema sostenibile, affidabile e utilizzabile ovunque.
Un’altra modalità di produzione di idrogeno per il futuro può essere attraverso il plasmix (materiale plastico eterogeneo composto da imballaggi post consumo non riciclabili), grazie all’accordo tra Eni e Corepla saranno avviati progetti di ricerca in Italia, progetti che possano innescare un processo innovativo di economia circolare. L’idea è di produrre biocarburanti e idrogeno dal plasmix ma non è stato fornito alcun dettaglio tecnico su come ciò possa avvenire, non è la prima volta che il vettore energetico si scontra con il settore dei rifiuti polimerici. Nel 2018 alcuni scienziati della Swansea University hanno reso noto di aver testato su delle materie plastiche (PET, acido polilattico e poliuretano) il reforming solare, ovvero sfruttando sole, una soluzione alcalina e dei punti quantici in solfuro di Cadmio (nanostrutture di un semiconduttore) sono riusciti a trasformare gli scarti polimerici in gas idrogeno. Eni usa l’idrogeno per neutralizzare l’ossigeno degli oli vegetali, trasformare i trigliceridi (degli oli alimentari usati, grassi animali e altri scarti) in isoparaffine e paraffine e annullare la presenza di zolfo, azoto e poliaromatici nel biocarburante.